Le mie cacce infantili e truffaldine continuavano, bastava che nel pomeriggio mio padre andasse a letto. Erano cacce brevi e molto leste, il tempo di un riposo pomeridiano. La poca selvaggina che prendevo l’aggiungevo all’altra che c’era già in ghiacciaia e così mio padre rimaneva sempre all’oscuro della mia attività venatoria. Un giorno il mio compagno Ezio volle venire a farmi da battitore. All’una eravamo già insieme all’inizio di un lunghissimo fossato (senza acqua) con filari di platani laterali. Lì ci potevano essere dei merli, tordi, passeri e fringuelli. Ezio doveva camminare sull’altra parte del fosso a qualche passo più avanti di me, facendo un po’ di rumore con un piccolo ramo in mano. Saltarono fuori un paio di merli, ma fuori tiro, non era il caso di consumare inutilmente delle cartucce. Facemmo ancora un centinaio di metri, quando, dopo un gran rumore tra il fogliame (sembrava si fosse mosso un elefante), saltò fuori un uccellaccio enorme con un’apertura d’ali di un metro e mezzo, una bestiaccia mai vista. Non fece in tempo a volare per qualche metro, che io la centrai in pieno. Però non avevo né il calibro di fucile e ne i pallini adatti per ammazzare un selvatico del genere, se mai avrei potuto solamente ferirlo. Infatti si rovesciò, si raddrizzò, perse quota e dopo pochi metri cadde nel centro del fosso. Ezio si era accorto che era successo qualcosa di straordinario e si mise a gridare: ”che bestia è? Ho visto dov’è caduta! ora la prendo!” Lo sentii correre e saltare poi sul fogliame secco al centro del fosso. “L’ho vista!” gridò. Un attimo dopo lo sentii gridare a squarciagola, come un ossesso e senza mai smettere. “Aiutami per carità! continuava, aiutami!” Corsi immediatamente sul posto e lo vidi alle prese con un rapace grosso come una gallina, sembrava un’aquila. Ezio l’aveva preso per il collo tenendo il pauroso becco lontano dalla sua faccia per non farsi cavare gli occhi. Non ricordo più come facemmo per ammazzarlo, ma ricordo benissimo che faticammo parecchio per estrarre un artiglio dalla sua coscia. Era una poiana. Quarant’anni dopo, Ezio si tirò su i calzoni e mi mostrò quella tremenda cicatrice, perenne ricordo di una brutta battuta di caccia.
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Archivi
#1 di renato piccolo il marzo 13, 2010 - 9:27 PM
Caro Renzo , piacevole il Tuo inizio , meno piacevole deve essere stato per Ezio. Mi riprometto anch’io un raccontino del primo giorno di caccia ” ufficiale “.
A presto
Renato
#2 di mariuccia il marzo 21, 2010 - 7:26 PM
Ciao ho letto con piacere questo avvenimento, il tuo modo di raccontare è così ricco di particolari che permette di visualizzare il fatto e ti trovi quasi dispiaciuto che il racconto sia finito, ma spero che continuerai a scrivere .
Forse frà breve proverò anch’io a raccontarti qualcosa.