Mio cognato Bepe

Io ho conosciuto Bepe forse già la prima volta che fece visita a mia sorella Lidia. Allora era giovane e belloccio mentre ora, dopo 40 anni, è vecchio e giallo come un cotogno. La cosa che mi impressionò molto quella prima volta che lo vidi, fu il modo con cui mise in moto la sua vecchia giardinetta 500. A chi non ha mai visto questa macchina antidiluviana, conviene spiegare com’era fatto il suo semplice meccanismo per avviarla. Poco discosto  dalla leva del cambio c’erano due levette che mettevano in trazione un filo d’acciaio (tipo quello dei freni di bicicletta), quando erano tirate su, regolando l’aria del carburatore o avviando il motore. Tale macchina aveva uno dei due fili rotto, cioè quello per avviare il motore. Per ovviare a questo inconveniente, con una tenaglia, Bepe pigliava quel pezzettino di filo che ancora sporgeva dalla guaina e tirava. Il motore partiva immediatamente. Quello che mi succede tutt’ora, dopo tanti anni è, che quando vedo una tenaglia penso subito a Bepe e, quando vedo Bepe mi viene in mente la tenaglia e proprio per questo suo strano comportamento egli mi divenne sempre più simpatico. Allora dicevo: “ ma guarda  quello lì che non si vergogna per niente ad andare in giro con delle tenaglie in tasca, mentre chiunque altro neanche si sognerebbe far visita alla sua bella se non ha le scarpe lucide ed il vestito stirato.  Egli, per questo, quando saliva in macchina per tornare a casa, si trovava circondato da curiosi che volevano godersi lo spettacolo. Ecco qual’era il suo asso nella manica!: sfruttare una situazione anche di nessuna importanza per stimolare ilarità ed allegria negli altri. Egli era sempre così, mai vidi Bepe immusonito o serio. Ancora oggi quando arriva Bepe arriva l’allegria ed infatti egli stimola, senza volerlo, gli astanti ad imitarlo i quali, impegnandosi un po’, ci riescono. E’ coinvolgente. A questo punto è lui che comincia a ridere ed il suo modo è cosi comico che le sue risate innescano quelle degli altri. Quando  ride, rovescia la testa all’indietro, ride fragorosamente e perde il respiro. Questo attimo di inattività respiratoria fa sbellicare dalle risa tutti. Quando il dialogo con i presenti, se pur piacevole, sta per esaurirsi, Bepe diventa pericoloso, la sua loquacità diminuisce e comincia a farsi strada, nelle sua mente, una voglia matta di far scherzi. Egli punta l’attenzione su uno dei presenti, destina su di lui gli strali dello scherzo e lo demolisce. Il predestinato dovrà sopportare la sferza della sua vivace  fantasia ed accettare, facendo buon viso a cattiva sorte, di essere messo alla gogna alla presenza di tutti. In quei momenti Bepe tiene d’occhio il povero predestinato e lo osserva con attenzzione attendendo le sue reazioni. E quando esse iniziano, egli comincia a ridere in un modo stranissimo: mantiene seria la faccia e fa sobbalzare la sua pancia come se dentro ci saltassero dei gatti in baruffa. Per dimostrare la diabolica fantasia di mio cognato, nel combinare scherzi a commensali, amici e parenti ne citerò solo alcuni ,altrimenti bisognerebbe scrivere un libro.
Il gelato. Non c’è mai stato un pranzo od una cena, in occasione di qualche festività o compleanno od altra ricorrenza, alla quale  Bepe non sia stato invitato; anzi per assicurarsi la presenza di tutti gli altri si diffondeva la voce che sarebbe stato presente anche lui. Alla fine di una cena di tanti anni fa, appena mi fu portata la coppa del gelato, notai distrattamente che Bepe mi stava osservando. Non mi allarmai ne ci diedi peso, non c’era nessuna ragione per farlo. Cominciai a mangiare il gelato ed alla terza cucchiaiata mi ritrovai in bocca una grossa mandorla. Rimasi un po’ sorpreso perché una cosa del genere non mi era mai successa. Pezzi di nocciola, di cioccolato, di mandorle, di canditi ne avevo trovati spesso, ma mandorle così grosse mai. Masticai. La mandorla non cedette. Masticai ancora una volta con più energia ma la mandorla non si diede per vinta. Sputai quella strana cosa sul piatto e vidi che era un grosso fagiolo secco. Capii subito ed alzai lo sguardo verso Bepe. Aveva  già rovesciato la testa all’indietro e perso il respiro.
La colomba pasquale. Poteva succedere che in occasione del Natale in casa mia non ci fosse il panettone, ma non capitava mai che a Pasqua mancasse la colomba. Nel panettone c’erano i canditi di arancio che non ho mai sopportato, nelle colomba, invece, questi non c’erano e per di più la superficie era adornata da mandorle, grani di zucchero e glassa. Un dolce insomma, che a me è sempre stato molto gradito. Appunto in un pranzo pasquale, arrivati al dolce, Bepe andò a prendere la confezione delle colomba, pregandomi di aprire la scatola di cartone. Non era una cosa normale che Bepe  mi affidasse tale compito ma io, forse distratto dalla conversazione con qualcuno, non feci caso alla stranezza, presi in mano lo scatolone e con fatica mi diedi da fare per aprirlo. Mi ricordo anche che m’infastidii per non aver trovato un modo semplice per togliere il cartone e che dovetti usare anche le unghie. Quando finalmente riuscii a liberare quella benedetta colomba da ogni involucro, esterrefatto mi trovai davanti una colomba alla quale erano appena state tagliate le ali, la testa e la coda. Mi alzai di scatto ma lui con un balzo si era già dileguato.
La soppressa. Alla festa di compleanno di mio figlio Luca, tutti portammo qualcosa. A differenza degli altri, Bepe arrivò tenendo in mano un scatola enorme. Da parecchio tempo tutti sapevamo che lui, quando faceva regali, li avvolgeva con tanta di quella carta da far pensare che  stava regalando chissà che cosa invece dentro, magari, vi era una nocciolina. Aprì lo scatolone e trasse fuori un portenfante contenente una specie di bambolona. Io mi trovavo lontano ad un paio di metri dal gruppetto di curiosi. Prima vidi che alcuni osservatori  stavano facendo una smorfia di ribrezzo, poi intravvidi, osservando il regalo, che da sotto un lenzuolino spuntava un’orribile testa nera protetta da una piccola cuffia bianca. “Cristo! esclamai, vuoi vedere che  il matto ha portato una mummia di qualche gatto morto!”. Mi avvicinai subito pieno di curiosità e guardai con maggior attenzione. Il mio ribrezzo non diminuì e questa volta vidi chiaramente una testina scura e rognosa con occhi, naso e bocca disegnati chissà con che colore. Bepe intanto mi stava guardando e ridendo a crepapelle. Alzai il piccolo lenzuolo per capire cosa fosse quella cosa mostruosa e scoprii, invece,  una cosa deliziosa: si trattava di un enorme salame, una sopressa ben stagionata. Roba da leccarsi le dita.
La gallina nella mia camera da letto. Questo è stato uno scherzo, che in un certo modo, su di me ha pesato per trent’anni consecutivi. Una mattina di tanti anni fa, al risveglio, mi trovai una gallina in camera da letto (vedi racconto precedente: La gallina  pellegrina). Per trent’anni mi arrovellai il cervello per capire come aveva fatto quella gallina ad abbandonare il pollaio, salire le scale ed appollaiarsi su di una sedia a mia insaputa. Mille volte pensai che fosse stata opera di Bepe ma egli ha sempre negato con fermezza e con espressione seria. Finito il succitato racconto gli chiesi per l’ennesima volta se era stato lui ad infilarmi nella camera da letto quella gallina. Finalmente arrivò la sua caratteristica risata e relativa conferma. Egli mi raccontò di averla solamente gettata su per le scale e che poi essa , di sua volontà, aveva scelto la camera giusta.
La salsiccia. Devo ammettere che la principale vittima di Bepe son sempre stato io, non so se egli lo ritenesse maggiormente divertente oppure se era perché gli ero simpatico, bisognerebbe chiederlo a lui, senza poi pretendere che dica la verità. Se non non fossi stato a portata di mano, egli sarebbe riuscito a scovarmi ugualmente anche se mi fossi trovato nella Terra del Fuoco ed una volta riuscì a raggiungermi fino in Medio Oriente. Da un paio di mesi mi trovavo a Sharm El Seik a trascorrervi  l’inverno, quando all’improvviso, arrivarono i miei due figli Anna e Luca ,facendomi una graditissima sorpresa. Dalle loro valige, con le altre cose comparve anche una scatola regalo avvolta da un’elegante carta rossa trapunta da stelle dorate. Non ci fu bisogno che mi si dicesse che era di Bepe. La prima cosa che facemmo, tutti insieme, fu di aprire quella scatola, sicurissimi che ci saremo divertiti. Nello stesso tempo io ero pure sicurissimo che lui, in quel medesimo momento, era seduto in stato comatoso, a casa sua, distante da noi più di 3000 km, ad immaginare noi tre concentrati ad aprire il suo pacco. Apertolo cominciarono le sorprese. Trovammo un sacchetto di farina di polenta precotta, un panetto di panbiscotto, una fetta di panettone, una scatoletta di sardine, una bottiglietta di prosecco, una confezione (già aperta) di grana padano, un cetriolo ed un fagotto di carta grosso come un melone. Ecco il botto finale! ci dicemmo. Togliemmo carta su carta per un bel pezzo ed, alla fine ,trovammo una salsiccia.
La grande vendetta. Questa è opera esclusivamente mia, Bepe c’entra solamente perché l’ha subita. Era una calda sera d’estate e da poco avevamo finito di cenare. Si era tutti in cortile a prendere aria. Durante la cena Bepe ne aveva combinata una delle sue solite. La vittima era stata uno dei miei figli che per niente aveva gradito lo scherzo. Chiamai in disparte i miei due figli maschi, che allora avranno avuto 15 e 17 anni, e progettammo una severa lezione da infliggere a Bepe, però tanto severa che avrebbe dovuto ricordarsela per tutta la vita. Dieci minuti dopo tutti e tre ci avvicinammo alla nostra inconsapevole vittima ed ad un segnale stabilito io lo abbracciai, per di dietro, al torace, uno dei miei figli gli bloccò le caviglie e l’altro gli sfilò le mutande ed i calzoni. A questo punto Bepe si trovò col culo nudo sulla ghiaia del cortile sopra la quale lo trascinammo per alcuni metri. Le sue grida disperate raggiunsero il massimo dei Decibel. Poi, aiutato dalla moglie, si godette un po’ di refrigerio con impacchi di acqua gelata.

Mio cognato in posizione di relax dopo i pasti

Bepe corre frettolosamente verso il bagno

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